C'era un accordo tra i leader conservatori e l'esercito per non fermare le violenze degli estremisti di destra che hanno portato alle dimissioni di Evo Morales. Il nuovo governo e la stampa internazionale hanno sempre parlato di transizione democratica, ma per l'ex presidente boliviano è evidente: «È stato un colpo di stato»
Il fondamentalista cattolico Luis Fernando Camacho, leader dell'opposizione boliviana, ha riconosciuto il ruolo decisivo del padre José Luis nel concordare con i militari e la polizia il colpo di stato. Lo denuncia su Twitter il presidente dimissionario Evo Morales, che chiede giustizia contro i leader del governo golpista «responsabili di genocidio e colpo di stato»
La video-ammissione di Camacho
Morales ha pubblicato un video in cui si vede Camacho raccontare le ore precedenti alle dimissioni di Morales. Il padre, José Luis, si sarebbe accordato col generale Fernando Lopez - ora ministro della Difesa - per lasciare campo libero alle proteste violente della destra. Numerosi esponenti del Mas sono stati torturati o costretti a lasciare il Paese, mentre sono stati almeno 35 i morti negli scontri.
«È stato mio padre che ha portato a termine il patto con i militari affinché non scendessero in strada - racconta Camacho - e la persona con cui è andato a parlare per coordinare tutto è stata Fernando López, l'attuale ministro della Difesa. È per questo motivo che ora lui è ministro, per portare avanti i compiti affidatigli».
L'accordo tra i militari e i gruppi civici di Santa Cruz ha permesso quindi alle bande armate parafasciste di agire indisturbate.
«È stato un colpo di stato, anche se Áñez, Mesa e lo stesso Camacho cercano di negarlo, il video è una prova ineluttabile», ribadisce su Twitter Morales. La questione non è del tutto irrilevante, posto che la stampa internazionale, soprattutto quella statunitense, ha presentato il cambio di governo come «dimissioni». E nelle reti sociali boliviane ha rimbombato l'hashtag #enbolivianohaygolpe, anche grazie all'aiuto di oltre 90mila account fake creati apposta per l'occasione.
L'importanza di chiamarsi golpe
Quando dei generali dell'esercito appaiono in televisione per chiedere le dimissioni e l’arresto di un capo di stato regolarmente eletto, di solito ci troviamo davanti a un classico caso di colpo di stato. Ma non è stato esattamente così che sono stati raccontati gli ultimi eventi in Bolivia dai principali media mondiali.
Al contrario, nella maggior parte delle cronache è sembrato che il presidente Evo Morales si sia «dimesso» (Abc news), tra diffuse «proteste» (Cbs news) e una «popolazione infuriata» (New York Times), indignata per la «frode elettorale» (Fox news) della «dittatura vera e propria» (Miami Herald). La parola «colpo di stato» viene usata soltanto quando si riferiscono le accuse di Morales o di altri funzionari del suo governo, nel mirino dei media mainstream sin dalla prima elezione del 2006.
Lo stesso approccio è stato utilizzato dai principali giornali italiani, che hanno paragonato il governo del presidente indigeno a una dittatura. Tuttavia, come spiegato da numerosi esperti, anche l'ultima elezione di Morales era stata regolare.
Le pressioni su Messico e Argentina
Morales ha anche ribadito che dietro il nuovo governo ci sono gli Stati Uniti: «La complicità di Washington nel colpo di stato in Bolivia è così evidente al punto che l'ambasciata Usa in Argentina parla a nome dei golpisti e chiede al presidente argentino Fernández di limitare il mio rifugio politico, come ai tempi nefasti del piano Condor», scrive su Twitter, facendo riferimento all'incontro tenutosi a Buenos Aires tra una delegazione statunitense e il ministro degli Esteri argentino.
Con il Messico è invece in corso una vera e propria crisi diplomatica, dopo che l'ambasciata messicana a La Paz si trova «assediata» dalle autorità boliviane, come denunciato nel canale ufficiale Twitter della missione diplomatica. L'ambasciata avrebbe dovuto cambiare sede, ma all'interno si sono rifugiati almeno nove membri del governo Morales, quattro di questi ricercati dalle autorità boliviane. Il contratto di locazione dell'edificio scadrà il 31 dicembre. Nel frattempo esercito, polizia e droni continuano a presidiare l'ambasciata. Mentre le automobili dei diplomatici messicani vengono pedinate da veicoli senza targa.
Alta tensione con la Spagna
La tensione ha prodotto altra tensione, questa volta con la Spagna: il governo boliviano ha accusato alcuni poliziotti spagnoli - ufficialmente diretti all'ambasciata messicana per prelevare due diplomatici iberici - di voler «recuperare» i collaboratori di Morales rifugiati nella sede diplomatica, circondata dalla polizia. Il veicolo degli spagnoli è stato circondato da alcuni civili, senza che le forze dell'ordine boliviane intervenissero. Alla fine gli agenti sono riusciti ad eludere il blocco. Il governo boliviano sostiene che questi ultimi fossero incappucciati e che abbiano estratto le loro armi per riuscire a fuggire. La Spagna ha negato tutte le accuse e ha aperto un'indagine sull'accaduto, mentre il sindacato nazionale della polizia spagnola ha spiegato che i media boliviani hanno diffuso foto false per dimostrare le accuse di «neocolonialismo criminale» mosse dall'ex presidente conservatore Tuto Quiroga.
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