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Brasile, ottobre infuocato in Amazzonia

di Redazione

Lo scorso mese gli incendi sono andati fuori controllo. A mettere un freno alla distruzione è arrivata la stagione delle piogge ma il destino della foresta rimane appeso a un filo. Bolsonaro è intenzionato a non fare passi indietro


A ottobre 2020 il numero dei roghi nella foresta amazzonica brasiliana è più che raddoppiato rispetto allo stesso mese dell'anno scorso. I dati dell'Istituto nazionale di ricerche spaziali del Brasile (Inpe) parlano di 17.326 incendi contro i 7.855 registrati nell'ottobre 2019.

Il presidente Jair Bolsonaro non ha commentato questo report, ma anche se in precedenza aveva avuto occasione di bollare i dati dell'Inpe come approssimativi, la crisi in atto ha costretto il suo esecutivo ad intervenire.

Lo scorso luglio da Brasilia era arrivato il divieto di appiccare fuochi per almeno 120 giorni (misura prorogata poi fino ad aprile 2021) e nelle aree più colpite si è fatto ricorso all'esercito. Tutto inutile. Se mai c'è stata una reale volontà politica orientata a contrastare il disastro ambientale in corso questa si è rivelata inefficace.

A destare grande preoccupazione fra gli ambientalisti sono i roghi nel Pantanal, la più grande zona umida del mondo. In quest'immensa pianura alluvionale, casa del giaguaro e della scimmia cappuccino, l'Inpe ha registrato ad ottobre quasi tremila roghi. Si tratta del numero più alto mai registrato dal 1998 quando sono iniziate le rilevazioni statistiche. Nei primi 10 mesi del 2020 secondo l'Università federale di Rio de Janeiro il 28% della zona umida è stato distrutto dalle fiamme: si tratta di un'area estesa circa quanto la Danimarca. Ora la stagione secca sta volgendo al termine e con le piogge il ritmo degli incendi dovrebbe rallentare.


Bolsonaro contro Biden


Al di là di provvidenziali fattori climatici, è ovvio che per salvare la foresta amazzonica servono azioni politiche; e i prossimi mesi ci diranno se l'elezione di Joe Biden a presidente degli Stati Uniti avrà un qualche effetto sulla protezione di quello che era chiamato il polmone verde del mondo. Bolsonaro durante la corsa presidenziale in Usa aveva avuto modo di scontrarsi con l'allora candidato democratico proprio su questo tema. Quando Biden disse, durante il suo primo dibattito con Trump, che gli Stati Uniti dovevano spingere il Brasile a proteggere meglio la foresta pluviale amazzonica Bolsonaro ha definito la dichiarazione «disastrosa».

Intanto, secondo quanto riportato dal sito Ansa.it, nei giorni scorsi il vicepresidente brasiliano, Hamilton Mourao, ha accompagnato un gruppo di diplomatici di diversi Paesi, fra cui alcuni europei, in un viaggio in Amazzonia. «Il grande obiettivo di questo viaggio – ha dichiarato Mourao – è dimostrare che il governo brasiliano non ha nulla da nascondere e che siamo aperti al dialogo con la comunità internazionale».

Quel che è certo è che con la caduta di Trump Bolsonaro ha perso il suo più grande appoggio a livello internazionale per lo sfruttamento indiscriminato dell'Amazzonia. Ora parte del futuro della foresta potrebbe dipendere in larga parte dall'amministrazione Biden. Gli Stati Uniti sono l'unico paese in grado di esercitare una pressione in grado di cambiare la rotta del governo Bolsonaro che è pronto a dare battaglia.


Il presidente del Brasile, intervenendo pochi giorni fa durante il vertice dei leader dei Brics, ha annunciato in video conferenza con i leader di Russia, Cina, Sud Africa e India di stare preparando una denuncia contro i Paesi che acquistano legname derivante dal disboscamento illegale dell'Amazzonia. «Nei prossimi giorni riveleremo i nomi dei Paesi che importano legname illegale dall'Amazzonia», ha affermato Bolsonaro lasciando intendere che fra gli stati in questione alcuni fanno parte dell'Unione Europea.

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