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Cile, raid anti-mapuche in Araucanía: «Razzismo di Stato»

di Ruggero Tantulli

Violenze anti-indigene in cinque Comuni del sud: gruppi di estrema destra hanno picchiato con bastoni i mapuche che avevano occupato palazzi municipali per chiedere il rilascio dei prigionieri. Audio e video mostrano la complicità dei carabineros, che non hanno impedito i blitz razzisti, con feriti e arrestati. Il senatore Navarro: «Indaghi l'Onu»


Un fine settimana di violenza quello vissuto in Araucanía, nel sud del Cile, dove gruppi organizzati di estrema destra hanno assaltato edifici municipali occupati da indigeni mapuche, che protestavano contro la detenzione di alcuni indios. Dozzine i feriti, decine gli arrestati. I blitz sono avvenuti tra sabato sera e domenica mattina nei Comuni di Victoria, Curacautín, Ercilla e Traiguén: alcune decine di civili, incappucciati e armati di bastoni, hanno picchiato gli occupanti, scandendo slogan anti-indigeni, e hanno dato fuoco ad alcuni edifici comunali.


Dall'organizzazione alla complicità dei carabineros


Uno sgombero compiuto da privati cittadini, radunatisi sotto la guida dell'Apra (organizzazione di estrema destra composta da proprietari terrieri, agricoltori e imprenditori), con la complicità dei carabineros, che non hanno impedito le violenze contro gli occupanti, come dimostrano alcuni video e audio. Le forze dell'ordine cilene, quindi, erano a conoscenza dell'intenzione di attaccare gli edifici occupati dai mapuche.

E hanno assistito alle violenze senza fermare gli aggressori, decisi a portare a compimento azioni dichiaratamente razziste.

«Signori, quanti alzano la mano? Ci incontriamo a mezzanotte in piazza (a Victoria, ndr). Dobbiamo essere in trenta o quaranta, con bastoni e quant'altro». Così Gloria Naveillan, portavoce dell'Apra e dei latifondisti della provincia di Malleco, ha convocato i partecipanti al raid anti-mapuche (qui l'audio).


Le condanne


Tra i primi a condannare le violenze, insieme alla Rete internazionale in difesa del popolo mapuche, l'Indh (l'istituto nazionale per i diritti umani cileno), che, per bocca di Sergio Micco, accusa lo Stato cileno di non aver «adempiuto al proprio dovere di garantire la pace, il rispetto dei diritti umani e la condanna di tutte le espressioni di razzismo».


Il senatore Alejandro Navarro, inoltre, ha chiesto un'indagine da parte dell'Onu sulla situazione incandescente dell'Araucanía, dove proprio un giorno prima degli attacchi (avvenuti, come se non bastasse, in violazione delle limitazioni anti-coronavirus) il neo-ministro degli Interni cileno Victor Pérez-Varela aveva attaccato la comunità mapuche.

Da Temuco, dove aveva fatto tappa, il ministro aveva negato la persecuzione politica dei mapuche, rispondendo alle recriminazioni della comunità originaria.

«L'occupazione di un Comune danneggia la cittadinanza», ha poi commentato il neo-ministro, che ha condannato le violenze, escludendo di averle provocate con la sua visita, come invece ha fatto notare il senatore Navarro.


Lo sciopero della fame


All'origine dell'escalation, le proteste di alcuni mapuche, che lunedì scorso avevano occupato i palazzi municipali per chiedere il rilascio del machi Celestino Córdova, il quale sconta una condanna a 18 anni di reclusione. Nel carcere di Temuco, lui e altri prigionieri hanno digiunato per protesta: uno sciopero della fame durato 90 giorni.

Ora, dopo il fine settimana di violenza - per cui la Rete internazionale in difesa del popolo mapuche ha parlato apertamente di «razzismo di Stato» - le recriminazioni nei confronti del governo di Sebastián Piñera saranno tutt'altro che sopite.

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