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Ecuador, condannato Correa. «Vogliono escludermi dalle presidenziali»



Otto anni di carcere e 25 anni di interdizione dai pubblici uffici: questa la sentenza della Corte nazionale di giustizia di Quito, che ha condannato per corruzione l'ex presidente, in esilio in Belgio. Ora il suo successore, Lenín Moreno, potrà presentarsi alle elezioni del 2021 senza il principale avversario, che contrattacca: «Una persecuzione, non c'è Stato di diritto». Nel Paese, intanto, si contano i morti per la pandemia, tra bare di cartone e cadaveri sui marciapiedi


L’ex presidente dell’Ecuador Rafael Correa è stato condannato a otto anni di carcere e a 25 anni di interdizione dai pubblici uffici per corruzione aggravata. Esce così di scena il principale avversario di Lenín Moreno, attuale presidente, in vista delle elezioni del 2021. «Era quello che cercavano: ottenere, attraverso la giustizia, quello che non sono riusciti ad avere dalle urne», è il primo commento di Correa, attualmente in esilio in Belgio.


La sentenza


La sentenza sul processo Sobornos (in spagnolo significa "tangenti") è arrivata nel pieno della pandemia che sta martoriando il Paese sudamericano, dove le immagini dei cadaveri lasciati sui marciapiedi hanno fatto il giro del mondo.


Secondo i tre giudici della Corte nazionale di giustizia della sezione penale di Quito, Correa è il principale responsabile di una rete corruttiva che avrebbe favorito aziende amiche nella concessione di appalti, in cambio di mazzette per Alianza País, il partito fondato dall’ex presidente.

Il giro di tangenti, che ammonterebbe a 7,5 milioni di dollari, si riferisce al periodo dal 2012 al 2016.

Con lui sono stati condannati anche l’ex vicepresidente Jorge Glas, già condannato a sei anni per corruzione nello scandalo Odebrecht, e altri 20 ex funzionari.


La reazione: «Una persecuzione: governo traditore e inetto»


Dal Belgio, Correa ha reagito duramente a quella che per lui era una sentenza già scritta. «Me l’aspettavo: è una persecuzione politica contro i leader progressisti ecuadoriani», è il suo commento per TeleSur.


«Mi dispiace per i miei compagni e sono preoccupato per gli ecuadoriani. Abbiamo un governo traditore e inetto, che ha distrutto lo Stato di diritto», ha aggiunto l'ex presidente.


Nel merito, Correa contesta totalmente l’esito del processo: «Non ci sono prove, volevano solo impedirmi di presentarmi alle presidenziali». L’accelerazione della decisione, infatti, nel bel mezzo della crisi sanitaria, avrebbe lo scopo di «avere un giudizio definitivo prima della registrazione della mia candidatura», continua.


Bare di cartone e cadaveri sui marciapiedi


Riferendosi alla gestione della crisi sanitaria, Correa ha definito l’Ecuador retto da Moreno «il peggior Paese al mondo di fronte al Covid-19», in un’intervista a HispanTv.


La negligenza del governo e il crollo del sistema sanitario ecuadoriano, in effetti, sono sotto gli occhi di tutti. Basti pensare alle immagini dei cadaveri abbandonati per le strade di Guayaquil, la seconda città del Paese, dove per seppellire i morti - appartenenti alle classi sociali più svantaggiate - si è dovuto ricorrere a 4mila bare di cartone.


In America Latina, solo il Brasile conta più vittime dell’Ecuador, dove i tamponi realizzati sono poche migliaia e persino il personale sanitario è costretto a lavorare senza adeguate protezioni.


I tradimenti di Lenín Moreno


Correa, in carica dal 2007 al 2017, ha caratterizzato la sua presidenza per l’aumento della spesa sociale e per il contrasto al debito contratto con il Fondo monetario internazionale. Il suo mandato ispirato al pensiero socialista è stato osteggiato dagli Stati Uniti.


Una linea totalmente abbandonata dal suo successore, Lenín Moreno - vice di Correa dal 2007 al 2013 - il quale, pur militando nello stesso partito e avendo vinto le presidenziali del 2017 al ballottaggio anche grazie al sostegno di Correa, ha mutato repentinamente il percorso politico intrapreso dal suo predecessore.


Dialogo con la destra, riduzione della spesa pubblica, liberalizzazioni e flessibilizzazione del mercato del lavoro, senza contare la revoca dell’asilo politico a Julian Assange. Queste sono state le scelte principali del nuovo corso di Quito, gradite a Washington e al Fondo monetario internazionale.


Gradite molto meno al popolo ecuadoriano, e in particolare agli indigeni, che lo scorso ottobre hanno messo a ferro e fuoco la capitale per diversi giorni, costringendo il presidente a decretare lo stato di emergenza e a scendere a patti con i manifestanti.


Un accordo beffardo, però, dal momento che, nel pieno della crisi sanitaria, Moreno ha annunciato il pagamento di 325 milioni di dollari ai detentori dei titoli di Stato in scadenza, cioè un fondo di investimento britannico, l'Ashmore Group, proprietario della maggior parte del debito dell'Ecuador. La notizia ha scatenato le proteste di indigeni e studenti universitari, che lo accusano apertamente di tradimento.

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