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Geraldina Colotti, femminismo e lotta di classe in Venezuela

di Lorenzo Poli

Dal femminismo borghese occidentale, «che si fonda esclusivamente sulla difesa dei diritti civili», alla centralità delle donne nel socialismo bolivariano del Venezuela, dove la «questione di genere si interseca con la questione di classe». A tu per tu con Geraldina Colotti, responsabile dell'edizione italiana di Le Monde Diplomatique con il pallino dell'America Latina


«Senza diritti sociali, i diritti civili valgono solo per chi è ricco». Lo dice senza esitazioni Geraldina Colotti, giornalista, scrittrice, saggista e analista geopolitica, nonché militante politica reduce del Sessantotto e degli anni di contestazione che ne conseguirono.

Classe '56, ligure di Ventimiglia, ha vissuto a lungo a Parigi. Oggi vive e lavora a Roma.

Per la sua militanza nelle Brigate Rosse ha scontato una condanna a 27 anni di carcere.


Firma de il Manifesto fino al 2017, dirige l'edizione italiana del mensile di politica internazionale Le Monde Diplomatique.

Ha pubblicato moltissimi articoli, libri e saggi sul Venezuela e sulla rivoluzione bolivariana tra cui Talpe a Caracas, tradotto in diverse lingue, e Dopo Chávez.


Per ilPeriodista ha rilasciato un’intervista sul movimento femminista bolivariano in Venezuela, raccontandone la nascita e la centralità nella liberazione degli ultimi.

Ma anche la sua rimozione mass-mediatica in favore di gruppi femministi borghesi, la sua negazione da parte del femminismo liberale occidentale e le operazioni di pinkwashing, attuate dalla destra venezuelana, volte ad annientarlo.

Buonasera Geraldina. Qual è la sua concezione di femminismo?


Io sono femminista e credo che la questione di genere si debba intersecare con la questione di classe.

In che modo?

Naturalmente l’oppressione di genere nasce secoli prima del capitalismo, però il femminismo, se non è all'interno di una visione di classe, sfocia in quel femminismo liberale che ha come esempio Margaret Thatcher, e che si fonda esclusivamente sulla difesa dei diritti civili. Questo non è il mio femminismo.

Perché non lo sarebbe?

A questo mondo la discriminazione in base all’identità di genere si aggrava soprattutto in base alla condizione sociale a cui si appartiene. Se io sono una lesbica, nera e povera verrò sicuramente discriminata molto di più rispetto ad una lesbica, bianca e ricca.

Un femminismo di classe, quindi.

Il femminismo senza una prospettiva di classe non interessa le classi popolari. C’è una differenza sostanziale tra la femminista liberale, che ha la "serva" nera in casa che bada ai figli, così lei può partecipare ad una manifestazione interclassista, e invece una femminista lavoratrice che porta i suoi figli nelle manifestazioni popolari per i diritti delle donne.

È il caso del nostro Paese?

In Italia purtroppo ha preso piede questo femminismo borghese pigliatutto, come “Se Non Ora Quando”, che ha fatto arretrare tantissimo le lotte femministe degli anni Ottanta volte a collegare gli obiettivi della lotta di genere con gli obiettivi di libertà di tutte e tutti.

Spesso si sente parlare del Venezuela come un Paese arretrato su tutti i fronti. Come si sono affermati il femminismo e la questione di genere durante lo sviluppo della rivoluzione bolivariana?


In Venezuela, la questione di genere ha intersecato la questione di classe e il femminismo popolare è uno dei punti più avanzati, perché il movimento socialista bolivariano non ha lottato contro una dittatura, ma contro una democrazia borghese che dal 1958, dopo la cacciata del dittatore Marco Pérez Jiménez, ha visto un’alternanza tra centrodestra e centrosinistra molto ben voluta da Washington. Una democrazia che però reprimeva e torturava gli stessi ribelli politici di stampo socialista rivoluzionario che avevano dato un grande contributo alla resistenza popolare anti-Pérez.

Cosa avvenne dopo?

Furono gli stessi gruppi che si diedero alla lotta armata guidata da ufficiali progressisti come Hugo Chávez, con un’origine di classe e non un’origine elitaria come i movimenti controrivoluzionari in Cile che hanno prodotto Augusto Pinochet e i gorilla del Piano Condor. Fu da quel ciclo di lotte, caratterizzato da una presenza non indifferente di donne guerrigliere, che iniziò un passaggio politico in cui le donne hanno avuto un ruolo fondamentale nella costruzione di teoria e prassi dopo la vittoria alle elezioni politiche nel 1998 di Hugo Chávez. Le donne hanno lottato per l’acqua pubblica e per il bene comune, come in Ecuador, in Bolivia e in Messico, stando in testa a tutte le lotte popolari di massa.

Che ruolo hanno le donne nel socialismo bolivariano?


Le donne hanno partecipato integralmente alla scrittura della Costituzione bolivariana che, oltre ad essere una delle più avanzate al mondo, è declinata ad entrambi i generi, maschile e femminile. Una Costituzione che contempla anche un vasto campo dei diritti delle diverse identità sessuali, infatti esiste un forte movimento LGBTQI di classe in Venezuela che appoggia il socialismo bolivariano e che ultimamente sta avendo una dura opposizione da parte di piccole Chiese reazionarie, le quali usano il corpo femminile e i diritti sessuali come campo di battaglia.

Quindi si sta verificando un'inversione di tendenza?

No. Nonostante ciò, la forza del movimento popolare delle donne prevale: attualmente, tre dei cinque organismi statali di poteri sono presieduti da donne e più dell’80% degli organismi del potere popolare, come le comunas, i Consigli comunali e il Consiglio elettorale, è diretto in maggioranza da donne. C’è a tutti gli effetti una rappresentazione reale del potere.

Quale sarebbe la differenza con il nostro Paese?

Se in Italia e in Europa si sta fomentando un “femminismo di Stato” volto alle “pari opportunità” e alle “quote rosa” che si prefigge di emancipare le donne, in Venezuela si sono messe in discussione le strutture di potere dello Stato borghese e la rappresentanza femminile è pura concretezza. La rivoluzione bolivariana, che si prefigge di instaurare un governo socialista attraverso delle tornate elettorali e non attraverso la lotta armata, ha come fulcro una chiave di lettura femminista, popolare e di classe della società, dove il ruolo delle donne è centrale.

Il governo di Nicolás Maduro ha affrontato diversi tentativi di destabilizzazione.


L’anno scorso è stato un anno tremendo tra attacchi, sabotaggi e il tentato golpe di Juan Guaidó: l’azione popolare anti-golpista delle donne è stata importantissima. Io mi trovavo a Caracas e ho vissuto il sabotaggio alla rete elettrica da parte dei paramilitari di estrema destra sostenuti dichiaratamente dagli Usa.

Perché un autosabotaggio di questo tipo?

Avevano in programma di mettere in ginocchio l’intero Paese provocando una crisi alimentare, aizzando così la rabbia popolare contro Nicolás Maduro.

Alla fine pare non ci siano riusciti.

Ciò che è successo ha rovinato tutte le loro aspettative perché le attiviste del Psuv, il partito più grande dell’America Latina con sei milioni di iscritti, hanno organizzato l’autosostentamento alimentare e idrico nei quartieri popolari per 5mila persone nelle periferie di Caracas. I paramilitari hanno incontrato così l’azione femminista popolare accompagnata da un forte mutualismo solidale capace di fare rete. In Venezuela non governano il mercato, Wall Street, le banche o le classi dominanti, ma governa il potere popolare, che per la maggiore è gestito da donne.

Alcuni media occidentali hanno parlato di divisioni politiche all’interno del femminismo in Venezuela e di proteste femministe durante l’8 marzo, descritto come un giorno di «cruda lotta» contro la «dittatura» di Maduro per richiedere diritti civili.


Questa è una bufala cosmica. Chávez, come diceva lui stesso, ha imparato dalle donne ed è stato il primo a dichiararsi femminista, applicando politiche femministe. Maduro si è formato politicamente negli anni Sessanta, che ha vissuto da autista della metro, da sindacalista, da femminista e da “fricchettone” con i capelli lunghi. È incredibile come venga manipolata la realtà. Un caso simile è successo durante il golpe in Bolivia nel 2019 contro Evo Morales.

In che senso?

In Italia alcune accademiche, che non contano nulla nella realtà del Paese ma hanno voce nelle reti sociali e in Occidente, dicevano che contro Morales c’era una forte «opposizione indigenista e femminista di sinistra». Caso vuole che quest’«opposizione indigenista e femminista di sinistra» non fosse di sinistra e alle elezioni avesse votato la destra.

Come è potuto succedere?

La notizia che veniva proposta sui mass media occidentali, con la complicità del femminismo liberale, definiva «sinistra» ciò che in realtà era in Bolivia un’opposizione dichiaratamente di estrema destra guidata da Luis Fernando Camacho, leader razzista e machista sostenuto dagli Usa, dalle forze imprenditoriali e clericali boliviane, nonché ex attivista dell’organizzazione Unión Juvenil Cruceñista, un gruppo paramilitare d’estrema destra che realizzava atti di razzismo e discriminazione contro abitanti e istituzioni indigene della zona. Ad accompagnare questo oscuramento mediatico sono intervenute molte femministe italiane e occidentali che hanno acconsentito acriticamente al colpo di Stato usando come giustificazione il «sessismo» e la «misoginia» di Morales non ben specificate. In realtà in Bolivia il femminismo popolare di classe sostiene totalmente il Mas (Movimiento al Socialismo), il partito di Morales. La stessa cosa è avvenuta in Venezuela durante le guarimbas (proteste violente, ndr).

Perché?

Fascisti e nazisti, con la complicità del Vaticano, delle grandi reti private e delle forze nordamericane, hanno bruciato ragazzi vivi in piazza solo perché avevano la pelle scura e la maglietta rossa, simbolo del militante chavista. Non solo! Hanno bruciato asili nido, cliniche veterinarie ambulanti e autobus pubblici. In Italia, da un lato, era arrivata la notizia che coloro che bruciavano vive le persone erano anarchici o milizie bolivariane; dall’altro i giornali facevano paginate intere con questi personaggi stilizzati che avevano la bomba in una mano e la bottiglietta d’acqua nell’altra, il cui abbigliamento costava come dieci salari minimi del Venezuela. Venivano raffigurati come ribelli contro la «dittatura», nessuno di pelle scura: erano tutti borghesi che nel frattempo bruciavano vive le persone. Era la rivolta dei ricchi che non sopportavano veder il “figlio del serva” andare all’università e diventare medico. In Venezuela i privilegi della borghesia sono stati azzerati e la borghesia vuole riprenderseli. E sui giornali europei viene raccontato l'opposto di quello che è la realtà.

Quindi non esiste veramente un forte femminismo anti-Maduro?


Ci sono gruppi femministi borghesi venezuelani legati all’oligarchia. Quando ci sono state queste guarimbas c’è stato un discrimine proprio per le femministe in Italia perché si sono visti i movimenti femministi pigliatutto, come "Se Non Ora Quando", esponenti femminili del Pd e donne liberali borghesi, celebrare le "manitas blancas", omologhe delle controrivoluzionarie cubane, che l’oligarchia nordamericana ha sponsorizzato anche in Venezuela. Queste signore svolgevano queste operazioni di immagine nelle piazze in cui si vestivano tutte di bianco. Nel frattempo le femministe bolivariane appartenenti alle classi popolari, considerate dalla borghesia come le «malvestite con le magliette rosse», stavano resistendo all’attacco dei fascisti e stavano scontando una serie di femminicidi politici proprio perché hanno un ruolo politico centrale nella gestione del Poder Popular e dirigono le lotte di massa. È evidentemente una questione di classe che differenzia le narrazioni tra la borghesia e la realtà di un femminismo combattivo, non d’apparato, che sta costruendo un’alternativa in Venezuela che resiste da oltre vent’anni.

Potremmo definire i movimenti anti-Maduro come un'operazione di pinkwashing?


Da un lato la destra venezuelana attua uno specchietto per le allodole per attrarre consenso e per dare un’immagine progressista di sé attraverso i media occidentali. Si tratta di fenomeni folkloristici e ultraminoritari che vediamo solo qui in Occidente attraverso i media e che là non esistono proprio.
D’altra parte la destra venezuelana cerca di architettare operazioni di pinkwashing senza obiettivi. Nel 2015 la destra ha ottenuto la maggioranza in Parlamento e ha eletto una donna trans nelle sue fila senza mai darle spazio di parola in nessuna seduta parlamentare. Alla destra non importa darle visibilità perché il socialismo bolivariano ha portato avanti tutti gli elementi più avanzati delle lotte, sia per quanto riguarda l’emancipazione politica sia per quanto riguarda i diritti civili, senza alcuna differenza.

Il femminismo bolivariano è un femminismo intersezionale di classe?

Senza diritti sociali, i diritti civili valgono solo per chi è ricco e si può permettere una splendida vista dall’alto del suo attico a Margarita, rispetto ai più poveri che si devono guadagnare il pane per vivere. Questo non toglie il fatto che l’America Latina sia un contesto culturale molto maschilista e che la lotta da condurre sia ancora lunga anche con NiUnaMenos.
Però in Venezuela le cose sono progredite perché le donne e i movimenti LGBTQI hanno potere, si sono auto-organizzati, stanno nelle strutture e hanno le loro rappresentanze in tutti gli organismi popolari. Anche organizzazioni più reazionarie, come le chiese evangeliche, cercano di contendere l’egemonia nei quartieri, ma tutte le volte che provano a imporre progetti reazionari e conservatori ai settori popolari falliscono, proprio perché le donne sono la maggioranza e il movimento LGBT è forte. Quindi è un problema di rapporto tra conflitto e consenso che fortunatamente da vent’anni è a favore del socialismo bolivariano.

Quindi potremmo dire che il Venezuela, nel panorama latinoamericano, è l’eccezione, insieme a Cuba, in cui i temi di genere, i diritti civili e i diritti sociali sono progrediti assieme?


Sì, perché sono diritti politici. Rimangono ancora dei punti da risolvere poiché la transizione di genere a Cuba è gratuita e in Venezuela ancora parzialmente. L’aborto è gratuito a Cuba, mentre in Venezuela non è ancora stato approvato per legge, ma nonostante ciò alcune dottoresse lo forniscono in modo autogestito completamente gratuito e in condizioni di sicurezza. Naturalmente al primo posto c’è Cuba, però il Venezuela ha messo questi diritti politici in Costituzione, facendo molta attenzione anche al cambiamento dei costumi a livello internazionale. Poi ovviamente ci sono le parodie reazionarie della borghesia. Se si studia la storia politica venezuelana ci si accorge come gli insulti sessisti siano sempre stati usati dalla destra e le loro battaglie in Parlamento abbiano avuto sempre come bersaglio le deputate comuniste. Hanno tentato di bruciare la casa della presidenta del Consiglio nazionale elettorale, con la famiglia all’interno, al grido di «Brucia, strega!». Il leader dei deputati delle destre diceva che tutto il Consiglio nazionale elettorale era un postribolo composto da prostitute. Dove ritornano le destre, come nel Brasile di Bolsonaro, si attua la ricetta neoliberista che immediatamente si serve della Bibbia e delle cose più reazionarie per usare il corpo femminile come campo di battaglia di lotte ultraconservatrici.

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