di Andrea Olgiati
Nè di qua, nè di là. Centinaia di guatemaltechi, honduregni e salvadoregni sono stati respinti dagli Usa e scaricati in Messico. Ma l'emergenza sanitaria ha portato anche i Paesi di origine a chiudere i confini, impedendo loro di tornare a casa. Questa è la situazione in Messico, dove i migranti, lasciati per strada senza protezione, sono stati rimbalzati dal nord al sud del Paese: ora vagano per Tabasco, senza documenti e senza assistenza
L'antinferno messicano
Non possono né andare né tornare. Bloccati in una sorta di antinferno assolato, costretti a correre in cerchio, colpevoli del solo peccato di voler una vita migliore.
Non possono arrivare nel Paese che sognavano, ma non possono neanche tornare a casa. Succede a centinaia di migranti dell’Honduras, del Guatemala, di El Salvador e di altri paesi del Centroamerica che volevano raggiungere gli Usa dal Messico e che ora sono bloccati nello Stato messicano di Tabasco.
Bloccati in questa terra di mezzo, senza lavoro, senza famiglia, senza protezioni contro il Covid, senza niente e nessuno.
Il coronavirus e le frontiere sbarrate
Gli Stati Uniti, infatti, hanno serrato i loro confini, complice l’emergenza sanitaria, e nessuno può entrare né uscire se non per «motivi essenziali», come stabilito dal piano di prevenzione stilato dal presidente Donald Trump.
Ma lo stesso hanno fatto anche altri Paesi, come il Guatemala, e così centinaia di migranti si ritrovano letteralmente intrappolati nel cuore dell’America nel bel mezzo di una pandemia. Abbandonati a loro stessi, senza documenti e impossibilitati anche a richiedere asilo.
Ricacciati verso sud
Nè di qua, nè di là, quindi. I Paesi di provenienza, infatti, si rifiutano di riaccoglierli, a causa della pandemia e dei rischi di contagio. Le autorità messicane hanno concesso un permesso di 90 giorni, ma i migranti possono circolare solo nel sud del Paese.
Alcuni erano già in territorio statunitense, ma sono stati espulsi e ricacciati in Messico. Dopo una rivolta scoppiata in un centro di detenzione per migranti a Piedras Negras, nello Stato di Coahuila (nel Messico settentrionale), dove sono stati incendiati alcuni materassi, l'Inm (Istituto nazionale per le migrazioni) li ha spediti in pullman nel sud del Paese, a duemila chilometri di distanza.
Per Tabasco senza protezioni
A criticare la gestione di questa vicenda è stata la ong Movimiento migrante mesoamericano, e in particolare il coordinatore Ruben Figueroa, attivista sociale impegnato nel raccontare l'odissea dei migranti centroamericani.
È stato proprio lui a sottolineare che nella città di Villahermosa, dove in questo periodo si registrano temperature anche superiori ai 40 gradi, ci sono oltre cento casi confermati di coronavirus.
Lì, infatti, centinaia di persone hanno vagato senza mascherine, sapone disinfettante o altre protezioni antivirus, esponendo se stessi e gli altri al rischio di contagio.
A peggiorare le cose c’è il fatto che molti centri per migranti hanno chiuso per l’incapacità di offrire le misure essenziali anti-Covid.
A Villahermosa decine di persone sono state liberate dal centro migranti.
E la paura del contagio rende più difficile trovare assistenza anche per mangiare e bere.
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