di Ruggero Tantulli

Dalle elezioni anticipate emerge un parlamento frammentato dove prevale il centrodestra. Crollano i fujimoristi. Flop della sinistra: sparisce il partito aprista. Ma la vera sorpresa sono “los israelitas” del Fronte agricolo, che vedono il Perù come l'Israele d'Occidente. Sullo sfondo, l'instabilità politica e il malcontento per la corruzione, a partire dallo scandalo Odebrecht
Un parlamento frammentato dove prevale la destra. Con una sorpresa: il boom di una setta di fondamentalisti evangelici fondata dall’autoproclamato "Cristo d’Occidente". È il quadro che emerge dai risultati definitivi delle elezioni anticipate in Perù, travolto dallo scandalo Odebrecht, la più grande indagine per corruzione dell’America Latina.
I risultati definitivi delle elezioni
Chiamati alle urne lo scorso 26 gennaio per completare la legislatura - che terminerà il 28 luglio 2021, in coincidenza con il mandato presidenziale - i peruviani hanno rinnovato il Congresso, sciolto alla fine dello scorso settembre dal presidente della Repubblica Martin Vizcarra.
Nove le liste che verranno rappresentate nel nuovo parlamento unicamerale, composto da 130 seggi, dove è in via di definizione un accordo politico tra le forze di centrodestra.
Primo partito è il centrista Acción popular (Ap), che con il 10,26% dei voti conquista 25 seggi. Al secondo posto, entrambi con l’8,38%, si piazzano il partito di centrodestra Podemos Perù e la novità Frepap (Frente popular agrícola del Perù), vero vincitore di questa tornata elettorale.
Subito sotto, il partito di centrodestra App (Alianza para el progreso) e i viola del Partido morado, repubblicani liberali di centro, fermi sotto l’8%.
Più indietro, fanno flop i conservatori fujimoristi di Fuerza popular (Fp), che raccolgono solo il 7,31% - avevano ben 73 seggi nella scorsa legislatura -, seguiti dai nazionalisti di Unione per il Perù (Upp), dalla sinistra del Frente amplio e dai cattolici di Somos Perù.
Spariscono invece una dozzina di partiti, tutti sotto lo sbarramento del 5%, tra i quali spicca il partito aprista peruviano Apra (Alianza popular revolucionaria americana), di ispirazione socialdemocratica. Fondato nel 1924 - uno dei più antichi del continente -, negli ultimi decenni è stato guidato dall’ex presidente Alan García, suicidatosi il 17 aprile 2019 mentre veniva arrestato con l’accusa di corruzione.
Agricoltura e famiglia tradizionale: chi sono “gli israeliti” che vedono il Perù come la Terra promessa
«Non ci alleeremo con nessuno». Non vogliono scendere a compromessi i 15 neo-deputati del Frepap, il fronte popolare agricolo che ha sovvertito i pronostici. A loro, conosciuti in Perù come “los israelitas”, sono andati oltre un milione e duecentoquaranta mila voti.
Rilancio dell’agricoltura (considerata un’attività benedetta), rimozione dell’immunità parlamentare, riduzione dell’orario lavorativo. Ma anche una concezione tradizionalista della famiglia e del ruolo delle donne, per non parlare della chiusura nei confronti di matrimoni gay e diritti lgbt. Questi i temi forti che hanno caratterizzato la campagna elettorale del Frepap, braccio politico della missione israelita del Nuovo patto universale (Aeminpu), una congregazione religiosa ultraconservatrice.

Pur essendo minoritari, “los israelitas” sono adesso la terza forza del paese, grazie al radicamento nelle zone rurali e alla campagna porta a porta. Barba e capelli lunghi per gli uomini, velo e vestiti lunghi per le donne, i membri della setta evangelica considerano il Perù la Terra promessa, ovvero l’Israele d’Occidente. Così come credono che Ezequiel Ataucusi Gamonal, fondatore - nel 1968 - della setta, sia la rappresentazione di Cristo sulla Terra. Alla sua morte, avvenuta nel 2000, i suoi seguaci lo rivestirono d’oro e pietre preziose, sperando invano che dopo tre giorni resuscitasse.
Adesso è suo figlio, Ezequiel Jonás Ataucusi, a portare avanti le idee teocratiche di questo partito che mescola Antico Testamento e pensiero Inca, le cui tesi fondamentaliste ora spaventano i peruviani.
Tangenti e appalti: lo scandalo Odebrecht travolge la politica
L’exploit del Frepap, fino a pochi mesi fa considerato espressione di una setta folcloristica, dipende in larga misura dal malcontento dei peruviani dovuto al dilagare della corruzione nella politica. Lo stesso ex capo dello Stato, Pedro Pablo Kuczynski, eletto nel 2016, è stato arrestato e costretto alle dimissioni due anni dopo. Al suo posto, alla presidenza della Repubblica è salito Martin Vizcarra, anche lui del partito conservatore Ppk (Peruanos por el kambio).
Lo scandalo Odebrecht, scoppiato qualche anno fa in una stazione di servizio di Brasilia utilizzata per riciclare le tangenti - da cui il nome «Car wash» per l’indagine - si è allargato a macchia d’olio, arrivando a coinvolgere 14 paesi latinoamericani. Tra questi, il Perù è quello che più ne ha pagato le conseguenze, in termini politici ed economici.
Odebrecht, un colosso dell’edilizia brasiliano, il numero uno dell’America Latina, avrebbe pagato tangenti ai governi e ai principali esponenti politici del paese per ottenere appalti nel settore edilizio.
In Perù, Odebrecht ha ammesso di aver pagato 29 milioni di dollari in tangenti a funzionari pubblici tra il 2005 e il 2014. Sono tre gli ex presidenti peruviani accusati di aver incassato tangenti dalla società brasiliana, oltre a Kuczynski: Ollanta Humala, Alan García (sparatosi un colpo di pistola davanti agli agenti) e Alejandro Toledo, arrestato la scorsa estate negli Stati Uniti dopo due anni di latitanza.
Ma le conseguenze politiche non hanno esaurito i loro effetti: sono di pochi giorni fa le dimissioni dei ministri della Giustizia, dei Trasporti e dell’Istruzione.
Dalla lotta armata all’autogolpe di Fujimori: storia dell’instabilità peruviana
Il Perù, una repubblica presidenziale dove il presidente è sia capo dello Stato che del governo, attraversa una fase di crisi politica. Ma l’instabilità del paese viene da lontano.
Tra la fine degli anni ‘70 e il 2000 il governo di Lima si scontrò con due gruppi armati di sinistra: i maoisti di Sendero Luminoso, guidati da Abimael Guzmán, e il Movimiento Revolucionario Túpac Amaru (Mrta), guidato da Víctor Polay Campos. Un conflitto che costò la vita a 70mila persone.
A reprimere le violenze dei gruppi rivoluzionari fu in particolare Alberto Fujimori, detto “El chino” per le sue origini asiatiche: eletto presidente nel 1990, il suo governo liberista si distinse per l’autoritarismo, in particolare dopo l’autogolpe del 1992, quando sciolse il parlamento e instaurò la legge marziale.

In sella fino al 2000, Fujimori cancellò le libertà democratiche e si macchiò di delitti per i quali verrà poi condannato: dalle torture agli omicidi, passando per la sterilizzazione forzata delle popolazioni indigene, che colpì 330mila donne e 25mila uomini.
Travolto da una serie di scandali legati alla corruzione, si dimise il 17 novembre 2000, auto-esiliandosi in Giappone: ora è in detenzione domiciliare.
Una storia, quella dei fujimoristi, trasmessa da padre a figlia: Keiko Fujimori, detta “La china”, fondatrice e leader del partito Fuerza popular, è tornata in carcere lo scorso 29 gennaio con l’accusa di corruzione.
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