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Cuba, solidarietà internazionale e sanzioni economiche

di Sebastiano Coenda



Dopo la Lombardia, è stato il Piemonte ad accogliere i medici cubani giunti nel Belpaese per curare i malati di coronavirus. Ma mentre l'Italia ringrazia per la solidarietà concreta dell'isola caraibica, non si attenuano gli effetti dell'embargo che strozza Cuba. Dalla rivoluzione dei barbudos all'amministrazione Trump, ecco in cosa consiste davvero il bloqueo imposto dagli Usa


Martedì scorso è atterrato a Torino il secondo contingente di medici cubani della Brigada Henry Reeve, giunti in Italia per aiutare nella lotta al Covid-19.

In molti, sui social e sui media tradizionali, hanno elogiato lo storico impegno di Cuba a sostegno dei Paesi travolti da calamità naturali e da gravi emergenze sanitarie.

L’Avana si è infatti sempre distinta per i suoi progetti di cooperazione internazionale, offrendo solidarietà concreta alle nazioni più povere del globo, come nel caso dell’epidemia di ebola in Africa o di colera ad Haiti.


Ciò che colpisce è che non stiamo parlando di una grande e ricca potenza, ma di un piccolo Paese caraibico da più di mezzo secolo vittima di dure sanzioni economiche.

A quasi sessant’anni dall’imposizione da parte degli Stati Uniti dell’embargo contro Cuba è più che mai necessaria una riflessione sulla natura e sulle conseguenze di questo tipo di sanzioni.


L’embargo contro i barbudos


Fin dal giorno della sua indipendenza Cuba ha costituito una sorta di protettorato degli Stati Uniti. L’emendamento Platt, in vigore dal 1902 al 1934, obbligava il governo cubano a formulare la propria politica estera in accordo con gli Stati Uniti e stabiliva che questi ultimi sarebbero potuti intervenire direttamente sull’isola qualora avessero ritenuto in pericolo «l’indipendenza cubana o la garanzia del rispetto della vita, della proprietà e delle libertà individuali», cosa che successe per ben tre volte (1906, 1917, 1920).


Nel 1952 ci fu un colpo di stato che sfociò nella dittatura di Fulgencio Batista, un generale vicino a Washington. In questo periodo Cuba divenne la capitale del gioco d’azzardo e della prostituzione, la corruzione dilagò e aumentò il potere della mafia.

Parallelamente, la già grande influenza economica e finanziaria degli Stati Uniti crebbe ulteriormente, arrivando a esercitare un controllo quasi totale sulle principali industrie dell’isola.

Fu in questo contesto che scoppiò la rivoluzione che portò Fidel Castro al potere nel 1959.


Appena terminata la rivoluzione cominciò una fase di crescente tensione tra Cuba e gli Stati Uniti, che sfociò in aperta ostilità quando l’Unione Sovietica si offrì di fornire sostegno all’Avana. In poco tempo la Casa Bianca emanò un primo decreto che ridusse del 95% le importazioni di zucchero cubano, la principale fonte di sostentamento dell’isola.

Il giorno stesso L’Avana rispose con la nazionalizzazione di tutte le proprietà statunitensi. A questo punto Washington ruppe le relazioni diplomatiche, decretò il blocco delle esportazioni e delle importazioni e vietò ai propri cittadini di visitare l’isola senza uno specifico permesso. Era l’inizio dell’embargo.


Nello stesso periodo cominciarono i tentativi di isolare politicamente il governo cubano, soprattutto all’interno del continente americano.

Nel meeting di Punta del Este del gennaio 1962 l’Organizzazione degli Stati Americani (OAS) dichiarava Cuba esclusa dal Sistema Interamericano e due anni più tardi voterà per sanzioni economiche obbligatorie.


Ma l’ostilità nordamericana nei confronti del nuovo governo cubano non si limitò a un blocco commerciale. Il 17 aprile 1961 la Casa Bianca appoggiò lo sbarco nella Baia dei Porci, un’invasione di esuli anticastristi addestrati dalla CIA per riconquistare Cuba.

L’anno successivo, in conseguenza alla crisi dei missili, l’amministrazione Kennedy promise di non invadere l’isola in cambio del ritiro dei missili sovietici.

Ma la CIA non rinunciò al tentativo di destabilizzare il governo cubano. Per ancora un decennio fu infatti attiva l’Operazione Mangusta, un’operazione segreta che mirava a rovesciare il governo di Fidel Castro tramite raid e sabotaggi.

Crollo dell’Urss: il periodo especial e la legge Torricelli


Fino alla rivoluzione l’economia cubana dipendeva in larga parte dal commercio con gli Stati Uniti, ai quali L’Avana vendeva il proprio zucchero in cambio dei prodotti di cui necessitava.

In seguito all’imposizione dell’embargo l’Unione Sovietica salvò Cuba dall’isolamento e divenne il suo primo e quasi unico partner commerciale (fino al 1989 solo il 15% del commercio estero proveniva da Paesi non allineati a Mosca).


La dissoluzione del blocco sovietico provocò dunque una gravissima crisi economica che causò una caduta del PIL del 37% nel periodo 1989-1994.

In questa fase, nota come periodo especial, le scorte si esaurirono in pochi giorni, molte attività furono chiuse o convertite e la popolazione venne colpita duramente dalla scarsità di beni importati, a partire da alimenti, medicine e altri generi di prima necessità.


La fine della Guerra Fredda rendeva l’embargo anacronistico e in molti pensarono che sarebbe stato lentamente ritirato. Tuttavia, gli Stati Uniti videro nella caduta dell’Urss e nelle difficoltà che stava attraversando Cuba un’ottima occasione per infliggere il colpo di grazia alla rivoluzione (dopo il 1991 l’embargo avrebbe condizionato più del 90% del commercio cubano).


Nel 1992 fu dunque approvato il Cuban Democracy Act, o legge Torricelli, che tra le altre cose proibì alle società sussidiarie statunitensi stanziate all’estero di avere transazioni con Cuba, vietò a ogni nave che avesse attraccato a Cuba di entrare in un porto degli Stati Uniti per 180 giorni, mantenne un severo limite alle rimesse dei cubani residenti negli Stati Uniti e autorizzò il presidente a proibire assistenza economica, militare o rinegoziazioni del debito a ogni Paese che avesse offerto assistenza a Cuba.


La legge Helms-Burton e le condanne dell'Onu


Ma la legge più contestata nell’ambito dell’embargo contro Cuba è senza dubbio la legge Helms-Burton, divisa in quattro titoli.


Il Titolo I codifica tutte le restrizioni dell’embargo in vigore al primo marzo 1996, afferma che gli Stati Uniti si opporranno alla partecipazione di Cuba nelle organizzazioni internazionali e ridurranno il supporto finanziario a quelle organizzazioni che forniscono assistenza economica all’isola.


Il Titolo II stabilisce una serie di condizioni che devono essere soddisfatte da Cuba prima che si possano riaprire i negoziati con qualsiasi futuro governo dell’isola. Il rispetto di queste condizioni comporterebbe di fatto la fine del modello politico ed economico portato avanti dalla rivoluzione.

È chiaro dunque che questo titolo costituisce una provocazione e vanifica ogni tentativo di riappacificazione tra Washington e l’Avana.


Il Titolo III istituisce la possibilità per i cittadini statunitensi ai quali furono espropriate le proprietà dal governo cubano di citare in giudizio, presso i tribunali federali, le imprese o gli individui che «trafficano» in tali proprietà.

Questo è il titolo più contestato della legge, giacché prevede un’applicazione extra-territoriale del diritto nazionale nordamericano, in netto contrasto con il diritto internazionale. Non a caso lo stesso titolo III conferisce al presidente la facoltà di sospenderlo ogniqualvolta la sua applicazione sia necessaria per salvaguardare gli interessi nazionali; facoltà costantemente esercitata da tutti i presidenti, almeno fino a oggi.


Il Titolo IV, infine, decreta l’obbligo per il segretario di Stato di negare il rilascio del visto a chiunque «traffica» nelle proprietà confiscate ai cittadini statunitensi.


Questa legge ha suscitato l’irritazione della comunità internazionale per via del suo carattere extraterritoriale. Gli Stati Uniti sono stati accusati di ostacolare il libero commercio e di violare il diritto internazionale, venendo addirittura denunciati da alcuni dei suoi principali alleati (Unione Europea, Canada e Messico) nell’ambito del WTO e del NAFTA.

Dal 1992 a oggi l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha votato ben 29 risoluzioni di condanna nei confronti dell’embargo statunitense contro Cuba.

Nell’ultima occasione - lo scorso novembre - solo tre i voti contrari, quelli di Israele, Stati Uniti e, per la prima volta, Brasile.

Dalla sanità al turismo: le conseguenze dell’embargo


È difficile fornire una valutazione complessiva e oggettiva dei danni economici che l’embargo ha arrecato a Cuba. Diversi sono i problemi generati da questo strumento di “guerra atipica”.

L’impossibilità di commerciare con il potente vicino e l’azione di pressione che quest’ultimo compie sugli altri Paesi della comunità internazionale affinché non facciano affari con Cuba si traduce in gravi difficoltà d’approvvigionamento e in un aumento considerevole dei costi di trasporto e di intermediazione.

La paura di possibili ritorsioni su chiunque scelga di avere rapporti economici con l’isola rende più complicato attrarre investimenti esteri e incide negativamente sulla capacità dello stato e delle imprese cubane di finanziarsi sui mercati internazionali, aumentando considerevolmente la loro spesa per interessi.


Le conseguenze dell’embargo sono visibili in tutti i settori dell’economia, comprese le aree responsabili della garanzia dei diritti sociali, come la salute e l’istruzione, in cui Cuba è un’eccellenza mondiale.

Diversi centri medici lamentano difficoltà a causa dell'impossibilità di importare medicinali e forniture sanitarie. In molte scuole manca il materiale didattico o è di scarsa qualità. Il settore alimentare ha problemi nel reperimento di sementi e mangimi sul mercato internazionale. Il settore dei trasporti registra ingenti perdite dovute al divieto di accesso nei porti degli Stati Uniti alle navi che trasportano merci o equipaggi cubani. Il turismo subisce un danno consistente dal divieto di visitare l’isola per i cittadini nordamericani. Il settore delle telecomunicazioni è in difficoltà a causa dell'impossibilità di accedere ad apparecchiature, piattaforme e servizi informatici di aziende nordamericane.


Viste queste premesse la performance economica di Cuba nel lungo periodo dovrebbe essere un disastro, invece non è così. Nei trent’anni che seguirono alla rivoluzione, Cuba crebbe a un tasso medio annuo quasi doppio rispetto al periodo precedente.

L’unico vero tracollo dell’economia si è avuto nel periodo successivo alla caduta dell’Unione Sovietica, quando il Paese si è trovato completamente isolato, scarseggiavano i rifornimenti e il popolo dovette affrontare un duro periodo di rinunce e sacrifici.



Per avere una visione più complessiva la mera crescita economica non è sufficiente, ma bisogna prendere in considerazione anche il benessere sociale che un determinato sistema politico può offrire. In questo Cuba non è seconda a nessuno, almeno in America Latina. L’isola caraibica è infatti prima a livello regionale, e all’avanguardia a livello mondiale, in tutta una serie di indicatori sociali come, per esempio, l’aspettativa di vita, la mortalità infantile e il tasso d’alfabetizzazione.


Gli oppositori di Cuba negli Stati Uniti sostengono che le privazioni a cui il popolo cubano è soggetto derivino esclusivamente dalla gestione inefficiente del suo governo. Ma in realtà Cuba è riuscita a resistere e a crescere nonostante gli ostacoli generati dall’embargo.

E lo ha fatto senza mai dover rinunciare al suo sistema politico e sociale.

Davide contro Golia: il vero obiettivo delle sanzioni


Nel corso del tempo l’embargo è stato modificato diverse volte, seguendo un andamento altalenante che ha alternato fasi di apertura e fasi di chiusura.

All’indomani della rivoluzione cubana la motivazione ufficiale delle sanzioni era forzare L’Avana a restituire le proprietà confiscate.

Successivamente, gli Stati Uniti abbandonarono gradualmente questo scopo e l’accento fu posto sull’allineamento ideologico del governo cubano al comunismo sovietico.

Dopo il crollo dell’Urss il mantenimento delle sanzioni è stato giustificato dal mancato rispetto dei diritti umani e dall’assenza di democrazia nell’isola.


Ma il vero obiettivo dell’embargo è sempre stato quello di porre fine alla rivoluzione, ripristinando così l’influenza di Washington sull’Avana.

Dopo più di cinquant’anni possiamo sicuramente affermare che l’embargo contro Cuba non è stato in grado di raggiungere lo scopo per il quale è stato ideato, ma ha invece causato gravi problemi d’approvvigionamento che hanno colpito duramente il popolo cubano, costringendolo a una vita di privazioni e sacrifici.


Quella dell’embargo sembra dunque una politica irrazionale, ma non è così se si coglie il suo valore simbolico. Cuba è un piccolo Paese, situato a pochi chilometri dalla più grande potenza mondiale, che è riuscito a preservare il suo sistema politico, la sua indipendenza e la sua sovranità seppur in contrasto con il potente vicino.

In tutto il mondo la bandiera di Cuba è un simbolo di resistenza dei deboli contro i forti, di Davide contro Golia. Non potendo più optare per un’invasione militare e non riuscendo a piegare il popolo cubano alla propria volontà, la strategia di Washington è consistita nel dimostrare al mondo che non c’è convenienza per un Paese a ribellarsi e a pretendere di esercitare autonomamente la propria sovranità.


Da questo punto di vista, l’embargo sembra costituire un monito per tutti quei popoli che intendono determinare in autonomia il proprio sistema politico, economico e sociale, senza doversi conformare ai modelli di società e di sviluppo imposti dalla potenza americana.


La stretta di Trump


L’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca ha posto fine ai progetti di riconciliazione tra Cuba e gli Stati Uniti portati avanti da Barack Obama.

L’anno scorso l’amministrazione Trump non solo ha ristretto notevolmente le possibilità di viaggiare verso Cuba, ma ha addirittura per la prima volta nella storia reso applicabile il titolo III della Helms-Burton, aumentando notevolmente i rischi che corrono le imprese internazionali nel fare affari con Cuba.


In questi tempi in cui Cuba è impegnata nella battaglia internazionale contro la pandemia e in cui l’Iran piange migliaia di morti a causa della carenza delle forniture ospedaliere determinata dalle misure ritorsive di Washington, la politica delle sanzioni mostra tutte le sue contraddizioni e tutta la sua crudeltà.


Ironicamente, è proprio chi si dichiara paladino dei diritti umani a imporre queste pesanti sanzioni che affamano i popoli delle nazioni che non intendono piegarsi alla sua volontà. Inutile girarci intorno: per Washington l’affermazione del proprio potere politico, economico e militare è più importante della tutela e del rispetto della vita umana.

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