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Virus e smog: la parola a due ricercatori di Harvard e Duke University

di Tommaso Rigon* e Massimiliano Russo**


I morti positivi al coronavirus crescono al crescere della concentrazione delle polveri sottili nell'aria: questo il risultato di un recente studio proveniente da Harvard, considerato «solido» anche dal presidente dell'Iss Silvio Brusaferro. Per comprendere meglio la ricerca, ospitiamo l'intervento di due ricercatori italiani ora negli Stati Uniti, Tommaso Rigon della Duke University e Massimiliano Russo della Harvard University



Inquinamento e mortalità da COVID-19


Un importante contributo scientifico, pubblicato qualche giorno fa su medRxiv, ha evidenziato un legame tra la mortalità del COVID-19 e l’esposizione prolungata alle polveri sottili (PM 2.5).

Gli autori, affiliati alla prestigiosa Harvard T.H. Chan School of Public Health, hanno preso in considerazione i dati provenienti da circa 3000 “province” (counties) degli Stati Uniti. Un piccolo incremento di PM 2.5 è associato ad una notevole crescita del tasso di mortalità. Va ricordato che la mortalità è il rapporto tra il numero di decessi da COVID-19 ed il numero di abitanti e non va quindi confusa con la letalità, che è invece il rapporto tra il numero di deceduti e contagiati. Gli autori sottolineano quindi l’importanza di regolamentare ulteriormente le emissioni di polveri sottili, al fine di ridurre la mortalità legata sia al COVID-19 che ad altre malattie simili.


Il lavoro, firmato da Wu et al. (2020), non è il primo a suggerire un legame tra inquinamento e COVID-19. Per fare un esempio italiano, Conticini et al. (2020) descrivevano un fenomeno simile nei giorni immediatamente precedenti. Pertanto, l’importanza di quest'ultima ricerca non consiste nella “scoperta” di questo fenomeno, ma risiede invece nel suo studio rigoroso, svolto tramite un'opportuna modellazione statistica. È infatti relativamente facile individuare delle correlazioni, ma è ben più complicato dimostrare rapporti di causa-effetto, come invece cercano di fare Wu et al. (2020).

La differenza tra correlazione e causalità


La presenza di correlazione tra due fenomeni infatti non è sufficiente per stabilire un rapporto di causa-effetto. Nel sito tylervigen.com sono raccolti esempi particolarmente assurdi, proprio per evidenziare il problema, che è ben noto alla comunità scientifica. Per esempio, pare ci sia una correlazione negativa tra polveri sottili ed il numero di pirati nel mondo. In questi casi si parla di correlazione “spuria”, perché non esiste un legame di causa-effetto tra la pirateria e l’inquinamento. Esiste tuttavia una causa comune, plausibilmente l’industrializzazione, che determina l’andamento di entrambi i fenomeni.


Se, per assurdo, non ci fosse alcun rapporto di causa-effetto, una riduzione delle polveri sottili non garantirebbe benefici per la nostra salute. Supponiamo che le polveri sottili siano più presenti nelle aree densamente popolate e che la densità abitativa sia connessa ad un tasso di mortalità maggiore. Sotto queste ipotesi, come facciamo a sapere se sia la densità abitativa ad incidere sul numero di morti, oppure se siano le polveri sottili? Questa è una delle difficili domande a cui lo studio di Wu et al. (2020) cerca di dare una risposta.


Una prova incontrovertibile della teoria è difficile


Per molti versi è ancora presto per trarre conclusioni definitive. Una conferma potremmo averla analizzando “dati sperimentali”, la cui raccolta pone svariati dilemmi etici. Dovremmo infatti rinchiudere due gruppi di persone, casualmente selezionate, in diverse città ed esporre solamente il primo gruppo ad un alto dosaggio di PM 2.5. In seguito, dovremmo controllare se nel primo gruppo osserviamo più decessi da COVID-19 che nel secondo. Questo tipo di approccio è difficilmente realizzabile ed eticamente molto discutibile.


Allora la correlazione tra COVID-19 e polveri sottili è “spuria"?

Vediamo come hanno affrontato il problema Wu et al. (2020), che fanno invece uso dei dati ufficiali, in cui ovviamente non c’è stata alcuna esposizione forzata alle polveri sottili. La soluzione in questo caso è stata quella di ricostruire artificialmente lo scenario “sperimentale”, correggendo le stime tramite altre variabili, dette confondenti, inclusa la densità abitativa di una provincia, il numero di abitanti, il numero di posti letto in ospedale ed altre ancora. In altri termini, viene paragonato il numero di decessi nella provincia A rispetto a quelli della provincia B, cercando di rendere queste due province il più simili possibile in tutti gli aspetti socio-demografici, fatta eccezione per le PM 2.5.

Questa è la strategia di Wu et al. (2020), i quali concludono che, anche dopo le opportune correzioni, le polveri sottili hanno un forte impatto sulla mortalità da COVID-19. Questo risultato è molto più rilevante di una semplice correlazione.


Alcune criticità

Il lavoro di Wu et al. (2020) è rigoroso, solido e ben strutturato. Ciò nonostante, il metodo scientifico impone cautela. Infatti, è possibile che le correzioni menzionate non siano perfette, per esempio perché qualche importante variabile confondente non è stata considerata. Inoltre, i dati stessi non sono completamente affidabili, dato che non tutti i decessi da COVID-19 vengono registrati come tali. Tutti questi aspetti sono stati evidenziati anche dagli autori stessi, ad ulteriore evidenza della loro serietà professionale ed onestà intellettuale. Infine, è bene notare che il lavoro di Wu et al. (2020) per il momento non costituisce una pubblicazione scientifica vera e propria, dato che per ovvie ragioni di tempo non ha ancora superato la cosiddetta “peer-review”, ovvero una validazione formale da parte della comunità scientifica. 


Questo lavoro è quindi una prima forte evidenza del legame tra inquinamento e COVID-19 ma ulteriori approfondimenti sono doverosi. A scanso di equivoci: non stiamo mettendo in discussione il lavoro di Wu et al. (2020) che è, infatti, di grandissima qualità. Tuttavia, crediamo che la scienza sia un processo lento, che richiede numerose conferme esterne e svariati distinguo. Ulteriore chiarezza su questa pandemia potrebbe arrivare, in futuro, proprio dagli stessi ricercatori e professori che hanno condotto questo studio.


I due studi scientifici citati:

* Tommaso Rigon è un ricercatore presso la Duke University, nel North Carolina. Ha ottenuto un dottorato in Statistica all'Università Bocconi. La sua ricerca riguarda principalmente lo sviluppo di nuovi modelli e metodologie bayesiane.


** Massimiliano Russo è un ricercatore presso la Harvard University, nel Massachusetts. Ha ottenuto un dottorato in Statistica all'Università di Padova. La sua ricerca riguarda principalmente lo sviluppo di nuove metodologie per testare l'efficacia di farmaci e per l'analisi dei dati clinici.

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