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Il costo insostenibile dell'europeismo senza una vera Banca centrale

di Pietro Salemi


Mentre a livello europeo si fatica a trovare un accordo sui rimedi finanziari ed economici da opporre al coronavirus, all'opinione pubblica italiana le regole comunitarie vengono presentate come un'ancora irrinunciabile. «Tutta la gente colta e gli intellettuali sono necessariamente europeisti», ha detto Elsa Fornero. Ma è davvero così? Ecco un'analisi sulla situazione attuale e di seguito l'opinione di quattro autorevoli premi Nobel sull'Unione europea e sulla moneta unica


In questi giorni di quarantena e di enormi difficoltà economiche, sociali e sanitarie, avremmo più che mai bisogno di misure espansive a sostegno di tutti i settori economici e in grado di raggiungere anche tutte le categorie di soggetti e di individui, come disoccupati, lavoratori occasionali e in nero, lavoratori stagionali, autonomi.

Sarebbe allo stesso tempo auspicabile - se non necessario - che queste misure non venissero attuate a debito, ma che il deficit pubblico richiesto fosse monetizzato da una banca centrale (la Bce, in questo caso) attraverso la creazione di moneta. In caso contrario, tanto per un privato quanto per uno Stato, il rischio che si profila è il perpetrarsi di una schiavitù da debito a tutto vantaggio dei rentiers della finanza che così continuerebbero a trarre profitti anche da una pandemia.


Chi pagherà il conto di questa crisi?


L'Unione europea ha risposto finora “ciascuno Stato", quindi ciascun cittadino: secondo quanto è stato anticipato, il nuovo progamma, Sure, consisterà infatti in nuovo debito, a lunga scadenza e a tasso agevolato. Ma così facendo, è più che probabile che l’aumento del debito pubblico (in moneta di cui non controlliamo l’emissione) porterà nel medio-lungo termine una nuova crisi da indebitamento eccessivo: lo spread per la collocazione dei buoni del Tesoro schizzerà alle stelle e il Paese rischierà di trovarsi nella stessa situazione del 2011, quando salì Mario Monti a Palazzo Chigi. Con o senza Mes, questo ci costringerà nuovamente a politiche di austerity che avrebbero effetti drammatici sull’occupazione, sui salari, sui servizi pubblici essenziali e, in ultima istanza, sulla capacità degli stati di offrire effettiva garanzia ai diritti sociali sanciti dalla Costituzione.

Al momento, all'interno dell'Eurozona, l'unica forma di monetizzazione del debito è quella del Quantitave easing, operato dalla Bce. Quest'ultima non agisce da prestatore di ultima istanza, perché l'acquisto dei titoli emessi dai singoli Stati è doppiamente limitato: da un lato a una quota proporzionale al capitale della Bce sottoscritto da ciascuno Stato ("capital key"); in secondo luogo tale operazione non può superare il 33% di ogni emissione di debito nazionale ("Issuer limit"). A ciò si aggiunge l'articolo 125 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, che impedisce a qualsiasi organismo della Ue (Bce inclusa) di farsi carico o di garantire il debito di uno Stato ("No bailout clause"). Questo il quadro attuale: finanziare la crisi senza gravare di ulteriori debiti e interessi Stati e cittadini non sembra un'ipotesi presa affatto in considerazione e farebbe drizzare i capelli ai grandi capitali del nord Europa e non solo.


Riportiamo dal sito della Banca centrale europea, "Cos'è un prestatore di ultima istanza" :

E se invece è un governo anziché una banca in difficoltà finanziarie? Le banche centrali forniscono credito di emergenza anche ai governi?
No. Nell’area dell’euro questo sarebbe illegale. Se i governi potessero richiedere finanziamenti alle banche centrali, ciò comprometterebbe la capacità di queste ultime di mantenere stabili i prezzi e lederebbe la loro indipendenza. È per questa ragione che il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea vieta il finanziamento dei governi da parte della BCE e delle banche centrali nazionali.


"Europeismo necessario"? Ecco la posizione di quattro premi Nobel


«L'opinione degli intellettuali, della gente colta, è necessariamente europeista!», ha tuonato a Piazzapulita Elsa Fornero. «È la pancia» che spinge gli elettori all'antieuropeismo, ha risposto il conduttore Corrado Formigli, riferendosi allo scetticismo degli elettori tedeschi sui coronabond.


Qui di seguito, invece, riportiamo le posizioni in proposito di quattro premi Nobel per l’Economia. La pretesa non è qui quella di dimostrare, attraverso queste autorevoli posizioni, che l’Italia abbandonando l’euro approderebbe per ciò stesso a una nuova El Dorado. Ma una seria discussione in merito è non solo possibile, ma sicuramente utile e probabilmente necessaria. Come in tutte le cose della vita, anche nell'euro ci sono vantaggi e svantaggi. La domanda decisiva resta sempre: vantaggi e svantaggi, per chi?



Joseph Stiglitz (Nobel per l’Economia 2001)


«L'Italia fatica dall’introduzione dell’euro. Se un Paese va male, la colpa è del Paese; se molti Paesi vanno male, la colpa è del sistema. E l’euro è un sistema quasi destinato al fallimento. Ha tolto ai governi i principali meccanismi di aggiustamento (tassi di interesse e di cambio), e anziché creare nuove istituzioni che aiutassero i Paesi a gestire le nuove situazioni, ha imposto restrizioni – spesso basate su teorie economico politiche screditate – su deficit, debito, e anche riforme strutturali».

«La risposta della Germania è di caricare il fardello sui Paesi deboli, già provati da alta disoccupazione e bassa crescita. Sappiamo a cosa porta una scelta simile: più dolore, più sofferenza, più disoccupazione, e ancora minor crescita. L’Italia è sufficientemente grande, e ha economisti sufficientemente bravi e creativi, da studiare un'uscita de facto, introducendo in sostanza una doppia moneta flessibile che potrebbe aiutare a recuperare ricchezza. Questo violerebbe le regole dell’ eurozona, ma la responsabilità di un'uscita de jure, con tutte le sue conseguenze, sarebbe scaricata su Bruxelles e Francoforte, con l'Italia che conterebbe sulla paralisi dell’ Unione europea per scongiurare la rottura finale…».

L'ipotesi "uscita" di Stiglitz:

«Non sarà poi così male tornare alle vostre vecchie monete. Le unioni monetarie spesso durano poco tempo... Ne conseguirebbe un periodo molto difficile, ma la fine dell’euro non sarebbe la fine del mondo».

E ancora:

«Il progetto europeo, per quanto idealista, è sempre stato un impegno dall’alto verso il basso. Ma incoraggiare i tecnocrati a guidare i vari paesi è tutta un’altra questione, che sembra eludere il processo democratico, imponendo politiche che portano ad un contesto di povertà sempre più diffuso».

Amartya Sen (Nobel per l’Economia 1998)


«L'area euro è un disastro, la moneta unica è stato un errore, toglie libertà ai paesi».

«Tutti i paesi europei tranne la Germania, avvantaggiata dal cambio sottovalutato, sono stati penalizzati. L’Italia da un punto di vista degli adeguamenti economici è stata penalizzata più degli altri paesi europei».

«L’euro è stato un’idea orribile. Lo penso da tempo. Un errore che ha messo l’economia europea sulla strada sbagliata. Una moneta unica non è un buon modo per iniziare a unire l’Europa. Questi punti deboli economici non rafforzano i motivi per stare assieme. Hanno un effetto-rottura invece che di legame. Le tensioni che si sono create sono l’ultima cosa di cui ha bisogno l’Europa. Chi scrisse il Manifesto di Ventotene combatteva per l’unità dell’Europa, con alla base un’equità sociale condivisa, non una moneta unica».

James Alexander Mirrlees (Nobel per l’economia 1996)


«Non voglio suggerire politiche per mutare la situazione attuale e mi sento a disagio nel fare raccomandazioni altisonanti, perché non ho avuto il tempo di valutarne le conseguenze. Però, guardando da fuori, dico che non dovreste stare nell’euro, ma uscirne adesso».

Christopher Antoniou Pissarides (Nobel per l’economia 2010)


«La situazione attuale non è sostenibile ancora per molto. È necessario abolire l'euro per creare quella fiducia che i Paesi membri una volta avevano l'uno nell'altro».
«Ha creato una generazione, persa, di giovani disoccupati e dovrebbe essere dissolta».

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